COMITATO SCIENTIFICO
PENELOPE (S)COMPARSI UNITI
È l'organo rappresentativo del progetto multidisciplinare, con funzioni consultive e di supporto delle associazioni territoriali. È l'organismo di garanzia tecnico scientifico relativo a progetti di ricerca, intervento e formazione in tema di scomparse.
Rappresenta inoltre l'interfaccia dell'Associazione nei confronti del mondo Scientifico, Accademico e Istituzionale.
I membri del Comitato Scientifico si riuniscono periodicamente per individuare le iniziative più opportune e concrete per promuovere la ricerca e migliorare l'assistenza delle persone scomparse in Italia.
Sarà compito dei membri del Comitato Scientifico mantenere tra i propri interessi scientifici prioritari il fenomeno degli scomparsi, sia in termini di aggiornamento che di ricerca scientifica.
I componenti saranno disponibili, ciascuno per la propria area di competenza, a rispondere e/o a farsi carico direttamente di quesiti specifici da parte delle famiglie, dei professionisti, nonché da parte dei membri dell'associazione Penelope (s)comparsi.
Un ulteriore ruolo del Comitato Scientifico sarà quello di promuovere le iniziative formative, divulgative e di ricerca in ambito scientifico e supportare quelle che le associazioni territoriali riterranno opportuno programmare ed attivare.
Il comitato scientifico è composto da:
COORDINATRICE
Prof.ssa Maria Gaia Pensieri
Sociologa - Criminologa investigativa
Prof. Pier Matteo Barone
Archeologo - Geoscienziato Forense
Avv. Silvia Mesturini
Penalista - Criminologa sociale
Prof.ssa Laura Volpini
Psicologa Giuridica e Forense - Psicoterapeuta
ARTICOLi
Video
Prof.ssa Laura Volpini
La violenza di genere in tempo di Covid19
CONTACT TRACING E PRIVACY, COSA SAPPIAMO
«Una persona che era stata al ristorante X tra le 19:00 e le 20:00 è risultata positiva al test. Abbiamo disinfettato l’area e chiuso il ristorante» questo è un tipico messaggio che arriva sugli smartphone delle persone presenti nell’area. Per chi frequenti Taiwan, Singapore, il Giappone o la Corea del Sud, tali notifiche cosiddette push, quelle che arrivano direttamente sullo schermo del vostro telefonino, sono la normalità durante le emergenze.
Di sicuro, la maggior parte di voi starà inorridendo pensando alla violazione della privacy, del GDPR, della propria intimità e libertà, ma forse sarebbe meglio se cercassimo di capire brevemente cosa sta avvenendo “dall’altra parte del mondo” prima di lasciarci andare a facili emotività.
Iniziamo da Taiwan che prima ancora che lo scoppio dell’epidemia divenisse di dominio pubblico in tutto il mondo, si è mobilitata e ha incominciato a diffondere subito informazioni essenziali alla popolazione all’insegna della massima trasparenza. Merito soprattutto della passata tragica esperienza di epidemia di Sars (2002-2003), le autorità dell’isola cinese si sono mosse tempestivamente. Già da gennaio, aiutate da molte iniziative private, hanno fatto in modo che ogni cittadino sapesse come agire, quale comportamento tenere e dove procurarsi le mascherine, con applicazioni di cellulare costantemente aggiornate su dove trovarle in tutta l’isola. Dall’inizio di gennaio il governo di Taipei ha istituito un unico centro di comando e controllo per coordinare gli sforzi sanitari.
Un’altra storia di successo è la città-Stato di Singapore, che ha impiegato metodi preventivi simili a quelli di Taiwan. Anche in questo caso, l’esperienza dell’epidemia di Sars è servita molto. Il premier Lee Hsien Loong, dopo un discorso esemplare per calma, ottimismo e chiarezza, ha messo in atto tecnologie di geolocalizzazione simili al governo di Taipei.
Il caso della Corea del Sud può dunque essere più interessante per noi e per tutti, perché è una dimostrazione di come si sia riusciti a contenere un’epidemia che si era già rapidamente diffusa.
Per tracciare i casi sospetti, in Corea del Sud sono arrivati per primi degli sviluppatori privati, che hanno creato delle applicazioni per i cellulari che mostrano la mappa dei contagiati. Senza rivelare le loro identità personali, le mappe indicano dove si trovano i contagiati, dove si sono spostati, che locali hanno frequentato, fornendo automaticamente la loro posizione alle Autorità. In questo modo, grazie alla georeferenziazione dei casi di contagio e alla identificazione dei singoli focolai su mappe molto precise, i coreani, pur continuando ad essere liberi di muoversi, sanno dove è più pericoloso andare. Starete sicuramente pensando che l’altra faccia della medaglia di questo sistema è il rischio di una caccia all’untore. Benché si tratti di sistemi che rispettano la privacy un privato bravo a investigare sul Web può incrociare i dati a disposizione e risalire all’identità del malato e dei suoi contatti. Ma in casi di emergenza nazionale, o meglio globale, veramente vogliano nasconderci dietro un dito?
Ecco il sito: Coronamap.live, che ha come sottotitolo “Guarda dove puoi girare in sicurezza”, con un click gli utenti possono vedere se ci sono casi noti di coronavirus nel loro quartiere. Molti cittadini consultano la mappa per proteggersi tenendosi lontani dalle aree dove si concentrano le infezioni.
A dar vita al sito è stato il diciannovenne (sì, 19 anni!), diplomato in informatica Ryan Jun-seo Hong.
In realtà, anche l’Italia è arrivata a questo sistema; o meglio, Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di Strategia presso la Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi, tra gli autori insieme con Alfonso Fuggetta, professore del Politecnico, di un progetto per combattere la diffusione del coronavirus tracciando i contatti (contact tracing in inglese) del paziente attraverso i big data in arrivo dagli smartphone. Questo progetto, un paio di giorni dopo l’esplosione dei casi di coronavirus in Lombardia, è stato recapitato all’indirizzo dei vertici della Regione che però lo hanno di fatto ignorato, preferendo proseguire – come tuttora si sta facendo – a ricostruire i contatti di un malato di Covid-19 “manualmente”, senza l’ausilio di tecnologie digitali. Atteggiamento tipicamente italico di chiusura verso le nuove tecnologie e le persone “nuove” proattive e propositive.
Ma cosa sono i Big Data?
Big data (grandi dati in inglese) è un termine che descrive un grande volume di dati, strutturati e non strutturati, che inonda il mondo informatico ogni giorno. Ma non è la quantità di dati ad essere importante: ciò che conta veramente è quello che si fa con i dati. I big data, per contare qualcosa, devono essere analizzati alla ricerca di informazioni di valore (come ad esempio la geolocalizzazione, ma non solo!) che portino a decisioni migliori e/o a mosse strategiche.
L’utilizzo in Italia dei big data, quindi, avrebbe anche potuto consentire di circoscrivere le zone in cui i contagi sono avvenuti, così da potere eventualmente adottare misure di contenimento forti della pandemia solo dove necessario e non indiscriminatamente su tutto il territorio italiano e senza un’apparente ratio (perché non chiudere tutto, uffici, negozi e trasporti inclusi, fin da subito?), come invece è stato fatto. Per ora, il progetto messo a punto dagli studiosi non è stato adottato né a livello regionale né nazionale. L’emergenza dei malati, da quel che si apprende, è stata considerata prioritaria, anche se, se si intervenisse a monte sui contagi con apposite mappature, significherebbe intervenire proprio sui malati stessi!
Quella dei Big Data rappresenta una pratica sempre più diffusa nel contesto economico-politico e sociale a livello globale.
Come noto, i dati sono una risorsa economica a tutti gli effetti; per questo molte organizzazioni, grazie anche ai progressi compiuti nel campo della Information e Communication Technology (ICT), tendono:
-a raccogliere una mole sempre più vasta di dati di qualsiasi tipo, attingendoli da diverse fonti (social networks, cookie, e-mail, internet of things, navigazione satellitare, video sorveglianza, pagamenti elettronici, ecc.)
- ad elaborarli in tempo reale, e poi
- ad estrarre da questi dati raccolti nuove informazioni.
I dati raccolti ed elaborati attraverso i processi descritti non hanno però sempre natura personale; anzi, nella maggior parte dei casi sono anonimi.
Chi intenda effettuare operazioni di trattamento secondo la metodologia propria dei Big Data, dovrà prima di tutto accertarsi della natura personale o meno dei dati trattati così da identificare la cornice normativa di riferimento ove operare; in caso di dati personali troverà applicazione il GDPR, in caso contrario, il Reg. UE 2018/1807 relativo alla libera circolazione dei dati non personali nell’Unione Europea.
Sfortunatamente, la tecnologia può rendere oggi un dato anonimizzato e domani renderlo nuovamente dato personale, incrociando una serie di data base.
Ecco perché, in questa prospettiva, appaiono alquanto utili quelle tecniche di anonimizzazione, come la randomizzazione e la generalizzazione, tendenti ad inserire nel dataset elementi di disturbo o distorsione; l’effetto che si ottiene è quello di un sovraffollamento di dati (c.d. crowding) tale da rendere più difficoltosa la re-identificazione delle persone.
Facciamo quindi una considerazione ulteriore.
Se per l’acquisizione e l’utilizzo dei Big Data dobbiamo attenerci scrupolosamente alle restrittive normative, come potremmo acquisire e utilizzare questi dati al fine di adottare misure di contenimento di un contagio?
Intanto diciamo subito che già in data 31 gennaio 2020 il Consiglio dei Ministri si era riunito per accertare e dichiarare lo stato di emergenza sul territorio nazionale.
Nell’ambito di detto stato di emergenza, il Capo Dipartimento della Protezione Civile aveva ritenuto opportuno rivolgersi al Garante della Privacy al fine di ottenere un parere favorevole in merito alla bozza di ordinanza relativa al trattamento dei dati personali sanitari, relativi alla salute, ai sensi di cui all’art. 9 oltreché i dati di cui all’art. 10 del GDPR.
Con riferimento a detta richiesta il Garante si era pronunciato favorevolmente, in particolare sostenendo che:
a) i soggetti di cui all’articolo 1 della stessa nonché quelli operanti nel Servizio nazionale di Protezione civile (artt. 4 e 13 del D. Lgs. 2 gennaio 2018, n. 1), possono “effettuare trattamenti, ivi compresa la comunicazione tra loro, di dati personali anche relativi agli artt. 9 e 10 del GDPR, che risultino necessari per l’espletamento della funzione di protezione civile al ricorrere dei casi di cui agli artt. 23, comma 1, e 24, comma 1, del D. Lgs. 2 gennaio 2018, n. 1”, con una scadenza fissata al 30 giugno 2020;
b) i dati personali raccolti possono essere comunicati a soggetti pubblici e privati diversi da quelli di cui alla lettera a), nonché è ammissibile la diffusione dei dati personali diversi da quelli di cui agli artt. 9-10, laddove la comunicazione e diffusione siano necessarie ai fini dello svolgimento delle attività previste dall’ordinanza stessa;
c) il trattamento dei dati personali deve avvenire in conformità ai principi sanciti ai sensi di cui all’art. 5 GDPR restando inteso che, attesa l’emergenza, occorre “contemperare la funzione di soccorso con quella afferente la salvaguardia della riservatezza degli interessati”.
Poi in data 06/03/2020 il Garante della Privacy, proprio in materia di coronavirus, si è occupato di quali debbano essere gli adempimenti per la raccolta dei dati, offrendo ulteriori e più specifici chiarimenti in merito alle misure che soggetti pubblici e privati devono adottare relativamente al trattamento dei dati personali in conformità alle disposizioni di cui al GDPR. Il Garante, infatti, ha dichiarato di aver ricevuto numerosi quesiti posti da soggetti pubblici e privati in merito alla possibilità di raccogliere “all’atto della registrazione di visitatori e utenti di informazioni circa la presenza di sintomi da Coronavirus e notizie sugli ultimi spostamenti, come misura preventiva.
In particolare, l’Autorità ha invitato i soggetti titolari al trattamento dei dati, siano essi pubblici o privati, a attenersi scrupolosamente alle indicazioni fornite dal Ministero della Salute e dalle istituzioni competenti per la prevenzione della diffusione del Virus, diffidandoli dall’assumere qualsiasi iniziativa autonoma relativa alla raccolta di dati personali, anche sanitari relativi alla salute, di utenti o lavoratori, che non sia normativamente prevista o disposta dagli organi competenti.
Infatti, ciò che rileva è certamente l’obbligatoria conformità della raccolta dei dati ai sensi di cui all’art. 5, che stabilisce e determina i principi generali cui necessariamente occorre conformarsi nell’ambito del trattamento dei dati personali.
Nello specifico, infatti, il Garante ha rilevato che “l’accertamento e la raccolta di informazioni relative ai sintomi ... e alle informazioni sui recenti spostamenti di ogni individuo spettano agli operatori sanitari e al sistema attivato dalla protezione civile, che sono gli organi deputati a garantire il rispetto delle regole di sanità pubblica recentemente adottate”.
Da ciò ne deriva che, solo gli organi qualificati, competenti e a ciò preposti, possono procedere al trattamento di tali categorie particolari di dati, al fine di rendere, pertanto, illegittimo ogni trattamento eventualmente effettuato da soggetti pubblici e/o privati.
Detto questo e dato per assodato che presupposto minimo è procedere alla pseudonimizzazione dei dati personali degli interessati, in conformità con quanto disposto ai sensi di cui all’art. 5 GDPR al fine di garantire il diritto alla riservatezza, quale estrinsecazione di un altro principio fondamentale della nostra Carta Costituzionale, rinvenibile estensivamente ai sensi di cui all’art. 15, occorrerebbe procedere ad corretto bilanciamento tra il diritto alla riservatezza e il diritto alla salute.
Se rispetto ad esempio al diritto di cronaca, quest’ultimo soccomberà rispetto al diritto alla riservatezza, l’utilizzo dei Big Data a fini di contenimento della pandemia da COVID 19 potrebbe e dovrebbe essere consentito qualora operato da soggetti qualificati e secondo criteri di bilanciamento di interessi costituzionalmente garantiti.
Già in ambito penalistico (in tema di rilevamento satellitare tramite GPS) – in un’ottica di prevenzione di reati - alcuni autori hanno prospettato l’introduzione di una disciplina che si uniformi al principio di stretta necessità e di proporzionalità, soprattutto a seguito dell’entrata in vigore della legge francese del 2014 sulla tecnica di “geolocalizzazione”(Loi n. 372 “relatif à la géolocalisation), promulgata il 28 marzo 2014, che ha inserito, all’interno del Titolo IV del libro I del Code, un nuovo Capitolo V intitolato “De la géolocalisation”.
Ai posteri l’ardua sentenza.
IL COMITATO SCIENTIFICO DI PENELOPE SCOMPARSI UNITI
Gli aspetti psicosociali
dell’appartenenza a
una rete virtuale
Herni Tajfel postulò a metà degli anni Cinquanta la teoria dell’identità sociale, in cui egli concettualizza il gruppo come il luogo di origine dell'identità sociale: nell'uomo è spontanea la tendenza a costituire gruppi, a sentirsene parte e a distinguere il proprio gruppo di appartenenza da quelli di non-appartenenza, elicitando consequenzialmente dei meccanismi di bias[1] cognitivo con un comportamento di favoritismo per il proprio gruppo e un comportamento contrario per coloro che non ne fanno parte.
Secondo tale teoria, l’identità sociale dell’individuo si costruisce attraverso tre processi funzionalmente collegati:
La categorizzazione: l’individuo costruisce categorie funzionalmente discriminanti di appartenenza, basate su fattori di vario tipo come: età genere sessuale, posizione sociale, idee politiche, fede religiosa ecc., con la tendenza a massimizzare le somiglianze tra soggetti all’interno della categoria e al contempo massimizzare le differenze con le categorie contrapposte.
L’identificazione: l’appartenenza ai diversi gruppi è una base psicologica per la costruzione della propria identità sociale costituita da una gerarchia di appartenenze multiple che può essere distinta tra: “Identità Situata” in un dato momento un'appartenenza può essere maggiormente saliente rispetto ad altre e “Identità Transitoria” un'appartenenza categoriale legata a particolari situazioni o momenti.
Confronto sociale: l’individuo confronta costantemente il proprio gruppo con gli altri con una condotta marcatamente condizionata da bias valutativi, con uno sbilanciamento positivo verso il gruppo di appartenenza, mentre gli altri gruppi vengono costantemente svalutati.
Conseguenza di questo processo è che parte della costruzione dell’autostima individuale, può derivare anche dalla percezione di superiorità del proprio gruppo e portare alla continua ricerca di confronto sociale.
L’appartenenza a un gruppo o a una rete oltre che partecipare alla costruzione della propria identità soddisfa i bisogni di conoscenza, amicizia e fiducia necessarie alla sfera affettiva umana, l’appartenenza a un’adeguata rete di sostegno costituisce una barriera di assorbimento dello stress evitando le conseguenze negative che questo produce sull’individuo a livello psicologico e fisico, incrementando le risorse e le capacità del soggetto[2]. Anche l’appartenenza a una rete strumentale, come quella lavorativa dove le relazioni sono «maggiormente formalizzate, possono essere considerate di sostegno e come tali vanno a costituire la complessa rete di supporto per gli individui»[3].
I Social Networks, permettono per la prima volta la creazione di «reti sociali ibride contemporaneamente costituite da legami virtuali e legami reali realizzando un nuovo spazio sociale l’interrealtà più malleabile e dinamico delle reti sociali precedenti[4]». I legami forti rinforzano l’individuo, mentre i legami deboli consentono di allargare la rete. A caratterizzare l’interrealtà è la fusione di reti virtuali e reti reali attraverso lo scambio di informazioni tra di esse, questo consente di controllare e modificare l’esperienza sociale e l’identità sociale in maniera totalmente nuova con rischi e opportunità tutti da definire. La prima opportunità evidente è la possibilità di poter allargare i propri confini attraverso il miglior utilizzo delle proprie risorse attuali o potenzialmente acquisibili che il soggetto può praticare e rendere operative utilizzando i nuovi mezzi. I bisogni complementari di supporto sociale e costruzione del sé possono essere soddisfatti, attraverso la sicurezza che un rapporto costantemente praticabile on-line fornisce azzerando le barriere della distanza, soddisfare i bisogni associativi attraverso lo scambio di opinioni e la comunicazione in generale e l’acquisizione di nuove risorse e aiuto, appagare la necessità di stima scegliendo ed essendo scelti da molti come amico e infine quello di autorealizzazione, potendo raccontare molto di se sicuri che qualcuno ci ascolterà ricevendo un segno di approvazione anche con un semplice “mi piace”. I punti critici della rete virtuale per lo scambio di conoscenza sono la fiducia e la reciprocità. Se i primi scambi virtuali avvenivano nei forum e nelle chat dove soggetti interagenti entravano in contatto per esplicita volontà, nei siti sociali questo avviene sempre, anche se i soggetti coinvolti non lo vogliono o non ne sono consapevoli, la funzione del tagging in cui è possibile associare il nome di amico a un’immagine o a un testo ne è un esempio[5].
Quando si parla di siti sociali la preoccupazione riguarda due fenomeni opposti: l’eccesso e il difetto di relazione. L’eccedenza è rappresentata in primo luogo dalla diffusione di dati personali in special modo da parte degli adolescenti, ma anche da adulti poco consapevoli in una sorta di «autoviolazione della privacy»[6] che possono essere utilizzati in vario modo da malintenzionati di ogni sorta o sfruttati dalle aziende, l’altro pericolo è che si stabiliscano tramite i social network contatti reali poco raccomandabili dopo essere stati adescati on line da falsi profili.
Partecipare alle reti virtuali equivale a una trasposizione dal luogo fisico a uno digitale che riprende molto e amplifica alcune caratteristiche della vita reale, in una società individualistica e frenetica com’è l’attuale, diventa una necessità crescente quella di ricostruire rapporti sociali che riproducano in una nuova veste le comunità tradizionali che le metropoli hanno dissolto, lo stimolo innato dell’uomo a stringere rapporti con i propri simili è quello che spinge le persone ad entrare nelle piazze virtuali e a cercare una risposta alla necessità di socializzazione di cui tutti hanno bisogno per la sopravvivenza fisica e mentale.
La condivisione riveste un ruolo importante, come nella vita reale, anche i nostri amici della rete condividono gusti, mode e contenuti, concorrendo al soddisfacimento di questo bisogno umano, anzi la comunità virtuale presenta dei vantaggi che la distanziano dalla realtà fisica dell’esperienza umana, la flessibilità, una caratteristica che segna una divisione tra i due mondi, nell’interazione reale c’è tutta una ritualità, con schemi rigidi attraverso cui si sviluppa la partecipazione alla comunicazione, nella rete tutto avviene con una maggiore elasticità. La replicazione virale di siti come FB è dovuta alla compartecipazione di diversi elementi come:
-
Il capitale sociale;
-
l’economia del dono;
-
la costruzione del sé;
-
la diffusione dell’innovazione.
chi era alla ricerca di risorse non le vendeva, ma le scambiava con gli altri in base a convenzioni non scritte impostate sul concetto di reciprocità, chi riceveva donava a sua volta aggiungendo sempre qualcosa in più di quanto ricevuto, volendo trasferire il tutto nelle reti virtuali, in piattaforme open source come FB tutti partecipano a mettere a disposizione della comunità idee e contenuti, senza che apparentemente venga chiesto nulla in cambio, nella realtà il prezzo da pagare consiste nell’accettare le inserzioni pubblicitarie che sono una delle forme di finanziamento del sito. Dal punto di vista degli iscritti invece i doni sono tutti i contenuti che ogni utente offre ai suoi amici, alcuni di questi momenti sono rinforzati dalla piattaforma, come la funzionalità “compleanni”, ed è attraverso questo scambio che si rafforzano i rapporti con le persone.
La costruzione del sé: la cassa di risonanza offerta dalla comunità virtuale permette la costruzione e la presentazione di se stessi mantenendo la facciata in relazione a esigenze di tipo psicologico, relazionale e sociale tra cui la necessità di garantire un certo livello di coerenza alla propria identità, il bisogno di integrazione, quello di essere apprezzati e stimati in modo da accedere ai diversi tipi di risorse socialmente distribuite, come su grande palcoscenico ognuno segue il suo copione per utilizzare la metafora drammaturgica di Goffman[7], consapevole che l’immagine scelta colpirà la sfera sensoriale del pubblico, un aspetto che dovrebbe essere tenuto in buon conto quando si inseriscono dei contenuti visibili a tutti, le conseguenze di un’immagine inappropriata entrata nella rete, permangono nel tempo e i ripensamenti potrebbero essere tardivi[8].
Diffusione delle innovazioni: «la diffusione è un particolare tipo di comunicazione nella quale il contenuto del messaggio scambiato diventa una nuova idea»[9] all’interno dei social network data la velocità di replicazione nascono nuove idee continuamente, i giovani hanno decretato il successo dei social network rappresentando l’«early majority» la maggioranza primaria loro sono la soglia critica da superare per decretare il successo di un’innovazione, una volta superata la prova la replicazione virale è rapida[10].
All’interno delle virtual community si ritrovano ogni giorno milioni di internauti che conducono una vita informatica continuativa e parallela a quella reale. La comunità equivale a socialità a scambi relazionali e a crescita personale, parteciparvi costituisce una valvola di sfogo una via alternativa alla ritualità a volte eccessiva delle pratiche sociali delle relazioni faccia a faccia, si viene accettati evitando lunghe presentazioni preliminari e quel fastidioso giudizio estetico che in molte occasioni della vita rappresentano un’ingombrante credenziale necessaria per essere accettati dalla comunità. Il vivo timore che si realizzi un difetto di relazione nasce da una constatazione: molte persone dedicano molto del loro tempo ad alimentare relazioni virtuali sui social network e il rischio che corrono è quello di sostituirle con quelle reali[11]. Le insicurezze più o meno presenti in ognuno di noi, se in parte vengono risolte dalla partecipazione a reti virtuali in cui ognuno sceglie di mostrare la parte che desidera, in taluni casi alimentano una falsa sicurezza fino a portare le persone a esimersi da un sano confronto con l’altro.
Il Social Network si muove su due piani: da un lato investe profondamente gli aspetti dell’identità personale in rete e tutto il sistema delle relazioni del sé con gli altri; dall’altro modifica la sfera pubblica prestandosi a molteplici utilizzazioni nella comunicazione politica, nel marketing, nella diffusione delle opinioni delle tendenze delle mode si colloca in quel crocevia fra la privatizzazione della sfera pubblica e la pubblicizzazione di quella privata che sembra tipico delle società nella postmodernità[12].
Qualsiasi forma di relazione si realizza attraverso l’agire comunicativo, che avviene all’interno di un contesto situazionale, costituito dallo spazio concreto della comunicazione con le sue componenti fisiche, ma anche dagli elementi ed i significati di carattere relazionale, sociale e psicologico che influiscono sull’evento comunicativo stesso. L’agire comunicativo, insomma, non si realizza solo attraverso l’utilizzo del linguaggio simbolico scritto e parlato, ma anche attraverso il linguaggio analogico agito attraverso i segnali del corpo: gli atteggiamenti posturali, la gestualità, la mimica facciale, la prossemica, i segni paralinguistici che gli uomini condividono con il mondo animale, sono segnali prodotti in maniera volontaria e involontaria in un’interazione de visu. Una prerogativa di tutti i sistemi viventi è quella di avere un comportamento, anche la comunicazione umana attraverso il linguaggio simbolico e analogico costituisce un comportamento, e siccome è «impossibile non comunicare»,[13] anche la semplice presenza silenziosa di un individuo in un determinato contesto-situazione, ha un effetto comunicativo.
I segnali analogici accompagnano il linguaggio verbale trasmettendo significati sul piano della relazione, principalmente emotivi, che gli individui sono in grado di decifrare con un meccanismo che avviene solo in parte a livello cosciente e che dovrebbe accompagnare in maniera sintonica quanto espresso sul piano simbolico[14].
Questi elementi ci fanno comprendere quanto la comunicazione umana rappresenta un fenomeno complesso che coinvolge i soggetti nella loro totalità psicofisica e quanto sia un elemento indispensabile alla relazione e strumento necessario per la costruzione di reti tradizionali, intesi come gruppi d’individui connessi tra loro da diversi legami sociali (famiglia, comunità religiose, circoli sportivi associazioni culturali, gruppi sindacali ecc.), indicate come reti reali. Ora occorre spostare l’attenzione su come l’avvento dei moderni strumenti tecnologici di comunicazione, principalmente internet, abbia condotto alla creazione di reti sociali virtuali, comunemente denominate Social Network.
Negli ultimi trenta anni abbiamo assistito a due fenomeni molto significativi: da una parte il crollo delle grandi ideologie e la disgregazione di alcuni vecchi sistemi statuali e politici che avevano caratterizzato la società nella prima metà del secolo scorso con il susseguente venir meno dei tradizionali confini geografici, linguistici e comunicativi, hanno determinato la scomparsa di quelle che sono state definite vere e proprie «fortezze di pensiero»[15]; dall’altro ad arginare lo smarrimento dei valori che avevano guidato la società in passato, ha contribuito proprio lo sviluppo rapido di una rete di comunicazione che ha finito per costituire il collante in grado di aggregare un numero sempre più significativo di persone. La tecnologia ha reso possibile tutto ciò divenendo una presenza sempre più evidente nelle nostre vite, la tendenza però è stata sempre quella di considerare gli strumenti tecnologici, la società e gli individui come entità separate e indipendenti, mentre in realtà non è così. Il processo di civilizzazione è iniziato proprio grazie alla capacità dell’uomo di creare artefatti con cui affrontare la realtà naturale, trasformandola in ambiente sociale. Tali strumenti sono una presenza costante della nostra vita in grado di strutturare le forme del nostro pensiero e orientare la nostra esperienza dimostrando di essere un insieme interrelato e inscindibile in continua evoluzione. Le tecnologie della comunicazione in particolar modo assumono un ruolo fondamentale di questo processo, perché la comunicazione rappresenta la funzione originaria e irriducibile della coesione sociale. Nel loro lungo percorso i media hanno condotto la comunicazione verso una progressiva virtualizzazione, un processo che attraversa diverse fasi di sviluppo a partire dal passaggio che ha portato dall’oralità primaria alla scrittura, passando per la stampa, alle telecomunicazioni e ai media audiovisivi che hanno delocalizzato e desincronizzato le fasi della comunicazione, approdando infine ai computer e internet che ci hanno sospinto sempre più all’interno di un mondo virtuale. Da questo punto di vista la tecnologia comunicativa è in grado di incidere profondamente e cognitivamente sulla società, sulla cultura e il concetto di comunicazione stessa[16]. La comunicazione di massa è stata per decenni caratterizzata da unidirezionalità e da un modello comunicativo “da uno a molti” controllata dalle grandi organizzazioni pubbliche e private, le innovazioni tecnologiche basate sui processi di digitalizzazione e microelettronica hanno reso possibile lo sviluppo di una forma sociale la cui struttura gravita intorno a vere e proprie infrastrutture reticolari in cui le comunicazioni di massa sono affiancate da quelle che Castells chiama: «auto-comunicazioni di massa»[17]. Nuove forme di comunicazione, realizzabili grazie alle nuove tecnologie che offrono a ciascun individuo la possibilità di generare contenuti propri che possono virtualmente raggiungere in modo istantaneo, un pubblico globale; comunicazioni che si sviluppano secondo un modello “da molti a molti” e prodotto dai singoli soggetti interagenti. Gli stessi sviluppi tecnologici hanno consentito di integrare formati diversi in un stesso mediumdistribuirli e farli circolare su media diversi dando il via a fenomeni di convergenza multimediale; le auto-comunicazioni vanno così a unirsi e a interagire con le comunicazioni di massa sempre presenti.
Oggi consideriamo naturale associare il concetto di rete a Internet, ma la rete è il modello strutturante comune a ogni sistema vivente; nelle organizzazioni umane di qualsiasi dimensione le reti si configurano come «strutture comunicative complesse, costruite intorno a obiettivi condivisi»[18]. Studi antropologici, dimostrano che la forma sociale reticolare era già diffusa migliaia di anni fa, ma era subordinata a logiche organizzative di tipo verticale in cui il potere era in mano alle istituzioni e distribuito ai livelli inferiori secondo flussi monodirezionali di comando e controllo. La potenza delle reti odierne risiede invece, nella loro adattabilità, flessibilità è capacità di autoconfigurarsi,[19] caratteristiche acquisibili solo se l’informazione può transitare tra i vari nodi che la compongono, in maniera rapida, efficiente e polidirezionale. In caso contrario è la struttura gerarchica a dimostrarsi più efficiente.
Tra i numerosi sociologi che hanno focalizzato la loro osservazione empirica sulle trasformazioni avvenute nel tessuto socio economico delle nazioni occidentali, con particolare riguardo ai fenomeni sociali delle metropoli, spicca Michel Maffesoli. I suoi studi sulla postmodernità, in particolare, raffigurano il comportamento dell’uomo moderno come quello di un nomade in cerca di equilibrio tra identità soggettiva e identità collettiva, finendo spesso per aderire a gruppi sociali dai legami deboli[20], questo a causa della mancanza di quelle grandi narrazioni e posizioni socialmente determinate, che in passato consentivano a ognuno di avere un ruolo coerente all’interno della società[21] A differenza di quando il progetto di vita era rigidamente determinato dalla condizione sociale del soggetto, oggi il destino di ognuno diventa flessibile consentendo una certa mobilità sociale facilitata anche dall’abbattimento dei confini geografici e comunicativi. Un’auto-progettazione nel senso e nelle mete da raggiungere nella vita, che l’individuo realizza spesso affrontando costi morali e psicologici elevati, dovendosi orientare autonomamente talvolta senza legami forti e autorevoli modelli di riferimento, in uno spazio sociale sempre più ampio in cui anche la fede in una società secolarizzata stenta a conciliare identità e universalità.
Richiamando Ulrich Beck,[22] questa è la società del rischio e dell’incertezza, nella quale ciascuno deve ridisegnare autonomamente la comunità in cui sentirsi inserito limitandola a uno stretto intorno con cui condividere interessi, ideali, affetti e contemporaneamente impegnarsi in un processo di continua autoriflessione che orienti il proprio comportamento nel vasto mondo reale, gestendo le proprie insicurezze con prestazioni performanti che la società attuale richiede.
Vivere isolati non fa parte della natura umana e abitare il sociale è indispensabile alla costruzione dell’identità individuale; ciascuno costruisce la propria rete di rapporti tra quelli ritenuti necessari e utili e si colloca nella rete in funzione di obiettivi fissati di volta in volta, investendo le proprie risorse materiali e immateriali, confrontandosi con coloro che occupano lo stesso spazio in cui si creano occasioni e modalità di contatto reciproco. L’identità si gioca nei macro e micro conflitti ideologici, attraverso la comunicazione, con le sue regole e i suoi codici linguistici e pragmatici e lo strumento diventa la rete.
Un ruolo chiave, in questo nuovo processo comunicativo è rivestito dall’impostazione intrinsecamente conversazionale del web 2.0. I Social network e il web non sono solo nuovi canali comunicativi, ma la testimonianza di una rivoluzione culturale e antropologica, un cambiamento di paradigma, nel quale siamo ora coinvolti e per questo non riusciamo a coglierne pienamente la portata. Il web non è soltanto un medium, ma a tutti gli effetti è un ambiente sociale capace di «ri-mediare»[23] non solo gli altri media, ma anche le nostre identità, i nostri linguaggi e i codici, proponendo una modalità pragmatica propria e autonoma,[24] il web si configura come una rete sociale integrata e interagente con le reti della vita off line.
IL COMITATO SCIENTIFICO DI PENELOPE SCOMPARSI UNITI
NOTE BIBLIOGRAFICHE:
[1] Bias: in psicologia, è un giudizio (o pre-giudizio) sviluppato sulla base delle informazioni in possesso, non necessariamente corroborato da
elementi logicamente connessi.
[2] Cfr. P. DI NICOLA, La Rete: metafora dell’appartenenza…, cit., pp. 139-141.
[3] Ivi, p. 139.
[4] G. RIVA, I Social Network, Il Mulino, Bologna 2010, p. 125.
[5] Cfr. G. RIVA, I Social Network, il Mulino, Bologna 2010, p. 158.
[6] E. MENDUNI et. al., Social Network, Facebook, Twitter, YouTube e gli altri: relazioni sociali, estetica emozioni, Mondadori Education, Milano 2011, p. 7.
[7] M. LIVOLSI, Manuale di sociologia della comunicazione, Laterza, Roma-Bari 2011, p. 40.
[9] E. ROGERS, Diffusion of innovation [1962], The Free Press, New York, 1995, p.18, in Enrico Menduni et. al., Social Network, p. 35.
[10] Ibid.
[11] Cfr. E. MENDUNI et. al., Social Network…, cit., p.7.
[12] Ivi, p. 9.
[13] P. WATZLAWICK et. al. [1971], Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma 2008, p. 44.
[14] Cfr. M. LIVOLSI, Manuale di Sociologia…, cit., pp. 18-19.
[15] L. MAZZOLI et al., Network effect, quando la rete diventa pop, Codice, Torino 2009, p. 4.
[16] Cfr. M. McLUHAN, [1964], Gli strumenti del comunicare, trad. it. E. Capriolo, a cura di P. Ortoleva, Il Saggiatore 2008, Milano.
[17] Cfr. M. CASTELLS, Comunicazione e potere, tr. it. B. Amato, P. Conversano, Università Bocconi, Milano 2009, pp. 14-15.
[18] Ivi, p.14.
[19] Ibid.
[20] I legami deboli sono le conoscenze amicali non troppo strette, mentre i legami forti sono quelli costituiti dai familiari e gli amici intimi.
[21] Cfr. L. MAZZOLI et al., Network effect… , cit., pp. 5-6
[22] U. BECK, La società del rischio. Verso una seconda modernità, tr. it. di W. Privitera, Carlo Sandrelli, Carocci, Roma 2000.
[23] L. MAZZOLI et al., Network effect…, cit., p. 10.
[24] Ibid.
Il capitale sociale: i siti comunitari rappresentano un ottimo strumento per mantenere costantemente i rapporti con le persone che si frequentano e ricostruire se possibile il capitale sociale preesistente fatto di vecchie conoscenze perse di vista, consentendo la gestione e la conservazione delle proprie relazioni sociali, anzi paragonata all’architettura delle relazioni sociali reali la rete offre un maggior controllo della propria struttura relazionale.
L’economia del dono: l’antropologo francese Marcel Mauss nel suo saggio su dono parla dell’economia del dono portando l’esperienza delle comunità rurali in cui: